I rimpianti, si sa, appesantiscono il karma, le scarpe, le giornate.
Non portano da nessuna parte, si può fare il mitico giochetto del guardare il
mitico bicchiere mezzo pieno; si può anche sorridere con grande educazione e pensare
che ci si soffochino con il loro bicchiere mezzo pieno, ma non esplicitare il
concetto, consci che il silenzio dice tante cose.
E’ inutile stare a farla lunga: i rimpianti sono di tutti
quanti, semplicemente perché fanno parte della vita. E basta.
Cose piccole e grandi: dall’essere stati pigri quel giorno
che si poteva andare in montagna, e poi non ci si è andati mai più, dall’aver
steso al sole quella meravigliosa roba turchese che adesso è un pallido celeste
e lo sapevamo, al non aver preso la seconda laurea quando si poteva, all’essersi
persi per sempre il primo giorno di scuola.
Chi più, chi meno.
Qualcuno, mi sembra, ha spesso delle piattolaggini indegne,
che altro che bicchiere mezzo pieno, bisognerebbe tirarglielo in testa, ma
forte, sperando in un minimo di attività cerebrale ragionevole in mezzo alle lagne:
ma chi siamo noi per giudicare l’importanza data da ciascuno a ciascuna cosa.
Probabilmente, la cosa più saggia è, semplicemente, prendere
atto dei rimpianti e procedere ogni benedetto giorno. Non negarli, semplicemente
procedere.
Detto questo: ne rimane uno di rimpianto per me personalmente
irrisolto, non superabile, in questa vita qui. Il non avere abbastanza energie:
quando saprei benissimo cosa sarebbe giusto fare, ma non ne ho le forze, il
tempo, il modo (inteso come prodotto di forze e tempo).
Per esempio, che purtroppo è solo uno dei tanti: vi ho fatto
vedere quelle foto di quel percorso per disabili, tra le macerie e l’immondizia,
in un luogo in cui i disabili, per altro, dovrebbero essere valorizzati per definizione
(e lo sono dal punto di vista economico: quel luogo indegno lì riceve finanziamenti
appositi); sono stata elegante, perché non vi ho fatto vedere il peggio, giuro
con il sangue.
Ovviamente ne ho parlato con una serie di rappresentanti
delle istituzioni: ma non abbastanza, non ho preparato la mitica relazione con
allegati.
Ecco: questo è un esempio di rimpianto insoluto. So cosa va
fatto, so come farlo, magari anche meglio di altri che farebbero più fatica a
difendersi, e non lo faccio. Va detto che ho la percezione chiara dell’inutilità
di certi atti: ma andrebbero compiuti comunque, perché tutto torna prima o poi,
lo sappiamo.
Ma sono troppo, troppo stanca. E senza possibilità di
riposo, perché le cose da non tralasciare sono troppe. Per cui nelle 24 ore non
ci sta tutto: per fatica e conseguente lentezza. Questo è triste, molto molto triste. Nel profondo
nord ovest diciamo darmàgi, la seconda a lunga lenta e aperta, da abbinare ad
una faccia seria dignitosa e segnata, scuotendo il capo.
Ecco, il rimpianto vero è per quelle cose lì, è quello
davvero lacerante.
Per carità: su quell’argomento lì, come su altri, non ho fatto
la relazione con gli allegati: ancòra. L’ancòra è fondamentale. Zattera di
salvezza dei pensieri.
Buona Giornata.
Angela