Oggi vi racconto una storia divertentissima perché noi siamo
spiritosi e la prendiamo sul ridere, certi della dabbenaggine della cosa: perché
invece, se davvero fossimo gli isterici che veniamo descritti, non rideremmo
troppo. Me l’ha ricordata ieri una Mamma, di quelle che giurano con il sangue,
per intenderci. E’ successa lo scorso anno scolastico, e la Mamma in questione
è lì che non sa se essere contenta che cominci la scuola oppure no.
Ambientazione: scuola elementare (che lo sapete che non si
chiama più così, ma giochiamo un pochino a fare i poveri di spirito) di una
metropoli del civilissimo Nord Italia, : Italia, dove la legge prevede una
scuola inclusiva, legge che, per come è scritta sulla carta, ci viene invidiata
da mezzo mondo. Istituto scolastico molto grande, indubbiamente con tutti i
problemi che può avere. Però: istituto scolastico che si è sempre distinto per
complicare la vita delle famiglie dei disabili. Attenzione: nessuna azione da
telegiornale, solo “dettagli”: per cui i bambini non vengono rinchiusi
insultati picchiati; ma, quando arriva un’iscrizione “speciale”, alle famiglie viene
in tutti i modi “suggerito” di andare altrove: sa che in quell’altra scuola c’è
un bel giardino, sa che hanno la piscina vicino, sa che gli insegnanti sono
molto bravi, sa che hanno da sempre una grande esperienza, sa che c’è vicino un
centro diurno che magari è più facile poi organizzare dei progetti (per cui il
bambino in questione potrebbe stare più lì che a scuola) eccetera
ecceterissima? Sempre e solo “suggerimenti”, ovviamente. Al che le famiglie
rispondono: grazie, no, ci metto più di tre quarti d’ora e qui solo 3 minuti. Una
scuola in cui le storie del campanile di Giotto sono la regola e mai l’eccezione.
In cui, alla fine, le famiglie, su questi “dettagli” tacciono perché non sanno
più cosa fare e mettono tante stelline sui questionari di soddisfazione, nella
speranza di arrivare a qualcosa di buono, e per evitare altre grane. Poi si
sfogano tra loro, ma questo lo sapete che non si può dire a nessuno.
Protagonisti: la scuola suddetta, una bambina disabile di
quarta elementare (malattia rara, che non determina danni motori: la bambina ha
tutte le autonomie più “grossolane”, limitate da difficoltà di coordinazione; determina però un grave danno
cognitivo e delle alterazioni comportamentali; in soldoni sonanti, la bambina
non ha ausili per l’aspetto motorio, basta prenderla per mano per andare
ovunque, ma non le si possono togliere gli occhi di dosso nemmeno per un
microsecondo; non parla, per cui non è
semplice capirla talvolta); la sua famiglia (di ottima estrazione culturale,
assolutamente conscia delle difficoltà
di gestione della figlia); tutti Quelli Che Sanno che ruotano attorno alla
bambina (tutto il personale scolastico, riabilitativo, assistenziale).
Durante lo scorso anno scolastico, in questa scuola, in
quella classe, sarebbe stato attuato in primavera un laboratorio teatrale: a
cui la bambina avrebbe partecipato, le avrebbe fatto benissimo in tutti i
sensi, ma andava anche pensato benissimo sotto tutti gli aspetti. Per cui, fin
da settembre, si era prevista per gennaio una riunione a cui avrebbero
partecipato insegnanti, educatori, terapisti, logopedisti e famiglia.
Per cui a gennaio arriva la convocazione della riunione di
lì a due settimane, indirizzata, in maniera esplicita a tutti i protagonisti,
nominati uno per uno. Alle tre di un pomeriggio, suggerendo di non far
partecipare la bambina perché sarebbe stato meglio potersi concentrare sugli
argomenti per velocizzare il tutto. In pratica: lasciatela a casa, altrimenti
non si capisce niente. Che ci sarebbe da chiedere dove metterla quella bambina
a quell’ora: visto che un genitore doveva essere alla riunione e non la si
poteva chiudere nello sgabuzzino; ma tanto è sempre scontato che si prendono
tutti i permessi al lavoro (per l’unico genitore che lavora); oppure, che alle
tre del pomeriggio la giornata lavorativa sia finita. Ma andiamo oltre.
Proprio quel giorno lì la famiglia era veramente nei
pasticci: perché il padre sì prendeva già un permesso, ma per stare con la
bambina perché la mamma doveva essere sottoposta a seduta di chemioterapia. Perché
la vita va così.
La scuola conosceva la situazione contingente molto bene, perché
ogni giorno se ne parlava all’entrata e all’uscita.
Per cui la Mamma Isterica e Sofferente risponde, grazie a
Dio per iscritto, chiedendo di cambiare la data, di spostarla a qualche giorno
prima (perché il giorno dopo si sarebbe probabilmente presentata lì a
vomitare).
Grazie a Dio per iscritto, così la risposta è stata scritta:
non si poteva proprio fare, perché data e ora erano stati concordati con tutti
gli operatori prima della comunicazione.
Cioè: voi avete una lista di nomi, ok? Li sentite tutti
quanti, in maniera dettagliata, mettendo insieme le esigenze di tutti,
sicuramente con più telefonate, trafficando e faticando, e saltate la famiglia,
che stava anch’essa nell’elenco dei partecipanti, e ne assume anche una certa
rilevanza, siccome che la bambina in questione è la protagonista di tutta la
commedia.
La Mamma fa rilevare, sempre per iscritto, la
contraddizione.
La risposta del Dirigente poteva essere: le chiedo scusa,
organizziamo mille riunioni al giorno, a nessuno va mai bene niente, ci siamo
persi, abbiamo commesso una leggerezza, troviamo delle soluzioni.
Non era richiesto che prendesse in considerazione la
situazione particolare di questa donna che non sapeva, purtroppo, davvero se
sarebbe stata viva di lì a 15 giorni, scusate la brutalità che vi rovina la
giornata. La mamma non pretendeva sensibilità: solo rispetto della scuola
inclusiva.
E invece vale la regola che le mamme giurano con il sangue:
mai nessuno ha ricevuto delle scuse, neanche di fronte a “sviste” ben visibili.
E cosa risponde il Dirigente? Tenetevi forte: che le
professionalità coinvolte sono molto impegnate dalle loro mansioni quotidiane (proprio per far
piacere a voi, gentili famiglie, si leggeva tra le righe), quindi, ovviamente,
erano loro ad essere state consultate per deliberare una data.
La famiglia no. Non era necessario.
Lasciamo stare il discorso se l’assistenza continua di un
disabile da parte della famiglia sia o no un lavoro, lasciamo stare, che
andremmo in quella faccenda dei care givers che se partiamo lì non la finiamo
più.
Sostanzialmente la famosa scuola inclusiva non prevede l’inclusione
del disabile nelle varie situazioni, neanche nel pensiero, in maniera
deliberata: ovvio che, in questo caso, il disabile era rappresentato dalla
famiglia, sempre inclusione è.
La madre è crollata nella disperazione, soprattutto pensando,
soprattutto nella sua situazione specifica, al futuro della figlia. Quella inclusa.
Sarebbe stato meglio, per Quelli Che Sanno, una corsa a scuola,
con piazzata annessa, rovesciamento di scrivanie: così avrebbero potuto esserci
sguardi commossi, noi la capiamo, la sua sofferenza, eccetera ecceterissima.
Invece è stata una madre pericolosa, di quelle che sanno i
congiuntivi.
E sapete che ha fatto? Ha fatto un giro di telefonate, l’amico
del parente dello zio della panettiera sorella della suocera del portinaio. E ha
parlato con un alto ufficiale di un alto organismo giudiziario della suddetta
metropoli.
Che si è fatto mandare le mail del Dirigente e quelle della
madre, si è fatto stampare la legge sull’inclusione scolastica, si è messo il
paltò perché nel Nord Italia faceva freddo, mail in una mano e legge nell’altra;
è andato negli uffici del Provveditore, dove è ovviamente entrato senza
bussare, e ha posato le scartoffie sulla più eminente scrivania, chiedendo come
farle combaciare.
Siano benedette le raccomandazioni, quando portano a questo,
quando favoriscono davvero i più deboli.
Alla mamma è arrivata due ore dopo la nuova convocazione per
il giorno precedente a quello concordato. Con tante scuse, direte voi. E invece
no, le scuse mai.
Per altro, creando probabilmente un problema ad altre
famiglie: banalmente, per esempio, la logopedista aveva già sicuramente fissato
appuntamenti a bambini che andavano quindi spostati. E il tutto sarebbe stato
evitabile semplicemente facendo le cose per bene, con una telefonata in più
anche alla famiglia.
E, appunto, non per sensibilità, gentilezza, buona volontà:
ma per dovere professionale.
Insomma, è una storia che fa ridere perché siamo simpatici. Ma
che fa piangere: perché la morale della favola è che le famiglie dei disabili
semplicemente sono rimosse dalla mente di coloro che dovrebbero organizzare dei
servizi per loro. Il presupposto di base non c’è. I servizi sono al servizio di
se stessi.
E questa è una storia che si può raccontare, perché più
pubblica di così non si può. Ma è pressochè unica, perché, tendenzialmente, le
famiglie è meglio che tacciano. Perché perdono sempre.
Buona giornata.
Angela
4 commenti:
Mi sembrano storie di ordinaria follia... E chissà quante altre ce ne sono. Che pena e che amarezza. Non basta avere il destino contro, ci vogliono anche le istituzioni a complicare il tutto ed a mettere i bastoni fra le ruote. Voglio sperare che la totale insensibilità sia il frutto di un'unica persona e non di una scuola intera. Purtroppo esistono anche persone così e spesso ricoprono posizioni importanti.
Massima solidarietà alla famiglia in questione e milioni di incroci anche per loro.
Forza ragazzi!! XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
FORZA FABIO!!!!
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
FORZA FABULLO!!!
FORZA RAGAZZI!!!
BUON WEEK END A TUTTI
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
senza parole e ...senza risate!
evviva le raccomandazioni!
e quante scrivanie dovrebbero essere capovolte dai GenitoriIstericiMaiGrati
Forza Fabullo bello sorridente!! Ieri mano nella mano con la Stefy, che teneri :-*
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
Forza Aimo
buon week a tutti
Che storia tristissima, probabilmente solo una delle tante che non avremo mai modo di sapere. Ma qualcosa cambierà in questo paese che si dice civile?
Buon fine settimana a tutti con un abbraccio e incroci XXXXXXXXXXXXXXXXXXX
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
Ciao prussot!
Posta un commento