venerdì 1 settembre 2017

Me l'ero scordata, adesso ve la conto.



Oggi vi racconto una storia divertentissima perché noi siamo spiritosi e la prendiamo sul ridere, certi della dabbenaggine della cosa: perché invece, se davvero fossimo gli isterici che veniamo descritti, non rideremmo troppo. Me l’ha ricordata ieri una Mamma, di quelle che giurano con il sangue, per intenderci. E’ successa lo scorso anno scolastico, e la Mamma in questione è lì che non sa se essere contenta che cominci la scuola oppure no.
Ambientazione: scuola elementare (che lo sapete che non si chiama più così, ma giochiamo un pochino a fare i poveri di spirito) di una metropoli del civilissimo Nord Italia, : Italia, dove la legge prevede una scuola inclusiva, legge che, per come è scritta sulla carta, ci viene invidiata da mezzo mondo. Istituto scolastico molto grande, indubbiamente con tutti i problemi che può avere. Però: istituto scolastico che si è sempre distinto per complicare la vita delle famiglie dei disabili. Attenzione: nessuna azione da telegiornale, solo “dettagli”: per cui i bambini non vengono rinchiusi insultati picchiati; ma, quando arriva un’iscrizione “speciale”, alle famiglie viene in tutti i modi “suggerito” di andare altrove: sa che in quell’altra scuola c’è un bel giardino, sa che hanno la piscina vicino, sa che gli insegnanti sono molto bravi, sa che hanno da sempre una grande esperienza, sa che c’è vicino un centro diurno che magari è più facile poi organizzare dei progetti (per cui il bambino in questione potrebbe stare più lì che a scuola) eccetera ecceterissima? Sempre e solo “suggerimenti”, ovviamente. Al che le famiglie rispondono: grazie, no, ci metto più di tre quarti d’ora e qui solo 3 minuti. Una scuola in cui le storie del campanile di Giotto sono la regola e mai l’eccezione. In cui, alla fine, le famiglie, su questi “dettagli” tacciono perché non sanno più cosa fare e mettono tante stelline sui questionari di soddisfazione, nella speranza di arrivare a qualcosa di buono, e per evitare altre grane. Poi si sfogano tra loro, ma questo lo sapete che non si può dire a nessuno.
Protagonisti: la scuola suddetta, una bambina disabile di quarta elementare (malattia rara, che non determina danni motori: la bambina ha tutte le autonomie più “grossolane”, limitate da difficoltà di  coordinazione; determina però un grave danno cognitivo e delle alterazioni comportamentali; in soldoni sonanti, la bambina non ha ausili per l’aspetto motorio, basta prenderla per mano per andare ovunque, ma non le si possono togliere gli occhi di dosso nemmeno per un microsecondo;  non parla, per cui non è semplice capirla talvolta); la sua famiglia (di ottima estrazione culturale, assolutamente conscia  delle difficoltà di gestione della figlia); tutti Quelli Che Sanno che ruotano attorno alla bambina (tutto il personale scolastico, riabilitativo, assistenziale).
Durante lo scorso anno scolastico, in questa scuola, in quella classe, sarebbe stato attuato in primavera un laboratorio teatrale: a cui la bambina avrebbe partecipato, le avrebbe fatto benissimo in tutti i sensi, ma andava anche pensato benissimo sotto tutti gli aspetti. Per cui, fin da settembre, si era prevista per gennaio una riunione a cui avrebbero partecipato insegnanti, educatori, terapisti, logopedisti e famiglia.
Per cui a gennaio arriva la convocazione della riunione di lì a due settimane, indirizzata, in maniera esplicita a tutti i protagonisti, nominati uno per uno. Alle tre di un pomeriggio, suggerendo di non far partecipare la bambina perché sarebbe stato meglio potersi concentrare sugli argomenti per velocizzare il tutto. In pratica: lasciatela a casa, altrimenti non si capisce niente. Che ci sarebbe da chiedere dove metterla quella bambina a quell’ora: visto che un genitore doveva essere alla riunione e non la si poteva chiudere nello sgabuzzino; ma tanto è sempre scontato che si prendono tutti i permessi al lavoro (per l’unico genitore che lavora); oppure, che alle tre del pomeriggio la giornata lavorativa sia finita. Ma andiamo oltre.
Proprio quel giorno lì  la famiglia era veramente nei pasticci: perché il padre sì prendeva già un permesso, ma per stare con la bambina perché la mamma doveva essere sottoposta a seduta di chemioterapia. Perché la vita va così.
La scuola conosceva la situazione contingente molto bene, perché ogni giorno se ne parlava all’entrata e all’uscita.
Per cui la Mamma Isterica e Sofferente risponde, grazie a Dio per iscritto, chiedendo di cambiare la data, di spostarla a qualche giorno prima (perché il giorno dopo si sarebbe probabilmente presentata lì a vomitare).
Grazie a Dio per iscritto, così la risposta è stata scritta: non si poteva proprio fare, perché data e ora erano stati concordati con tutti gli operatori prima della comunicazione.
Cioè: voi avete una lista di nomi, ok? Li sentite tutti quanti, in maniera dettagliata, mettendo insieme le esigenze di tutti, sicuramente con più telefonate, trafficando e faticando, e saltate la famiglia, che stava anch’essa nell’elenco dei partecipanti, e ne assume anche una certa rilevanza, siccome che la bambina in questione è la protagonista di tutta la commedia.
La Mamma fa rilevare, sempre per iscritto, la contraddizione.
La risposta del Dirigente poteva essere: le chiedo scusa, organizziamo mille riunioni al giorno, a nessuno va mai bene niente, ci siamo persi, abbiamo commesso una leggerezza, troviamo delle soluzioni.
Non era richiesto che prendesse in considerazione la situazione particolare di questa donna che non sapeva, purtroppo, davvero se sarebbe stata viva di lì a 15 giorni, scusate la brutalità che vi rovina la giornata. La mamma non pretendeva sensibilità: solo rispetto della scuola inclusiva.
E invece vale la regola che le mamme giurano con il sangue: mai nessuno ha ricevuto delle scuse, neanche di fronte a “sviste” ben visibili.
E cosa risponde il Dirigente? Tenetevi forte: che le professionalità coinvolte sono molto impegnate dalle  loro mansioni quotidiane (proprio per far piacere a voi, gentili famiglie, si leggeva tra le righe), quindi, ovviamente, erano loro ad essere state consultate per deliberare una data.
La famiglia no. Non era necessario.
Lasciamo stare il discorso se l’assistenza continua di un disabile da parte della famiglia sia o no un lavoro, lasciamo stare, che andremmo in quella faccenda dei care givers che se partiamo lì non la finiamo più.
Sostanzialmente la famosa scuola inclusiva non prevede l’inclusione del disabile nelle varie situazioni, neanche nel pensiero, in maniera deliberata: ovvio che, in questo caso, il disabile era rappresentato dalla famiglia, sempre inclusione è.
La madre è crollata nella disperazione, soprattutto pensando, soprattutto nella sua situazione specifica, al futuro della figlia. Quella inclusa.
Sarebbe stato meglio, per Quelli Che Sanno, una corsa a scuola, con piazzata annessa, rovesciamento di scrivanie: così avrebbero potuto esserci sguardi commossi, noi la capiamo, la sua sofferenza, eccetera ecceterissima.
Invece è stata una madre pericolosa, di quelle che sanno i congiuntivi.
E sapete che ha fatto? Ha fatto un giro di telefonate, l’amico del parente dello zio della panettiera sorella della suocera del portinaio. E ha parlato con un alto ufficiale di un alto organismo giudiziario della suddetta metropoli.
Che si è fatto mandare le mail del Dirigente e quelle della madre, si è fatto stampare la legge sull’inclusione scolastica, si è messo il paltò perché nel Nord Italia faceva freddo, mail in una mano e legge nell’altra; è andato negli uffici del Provveditore, dove è ovviamente entrato senza bussare, e ha posato le scartoffie sulla più eminente scrivania, chiedendo come farle combaciare.
Siano benedette le raccomandazioni, quando portano a questo, quando favoriscono davvero i più deboli.
Alla mamma è arrivata due ore dopo la nuova convocazione per il giorno precedente a quello concordato. Con tante scuse, direte voi. E invece no, le scuse mai.
Per altro, creando probabilmente un problema ad altre famiglie: banalmente, per esempio, la logopedista aveva già sicuramente fissato appuntamenti a bambini che andavano quindi spostati. E il tutto sarebbe stato evitabile semplicemente facendo le cose per bene, con una telefonata in più anche alla famiglia.
E, appunto, non per sensibilità, gentilezza, buona volontà: ma per dovere professionale.
Insomma, è una storia che fa ridere perché siamo simpatici. Ma che fa piangere: perché la morale della favola è che le famiglie dei disabili semplicemente sono rimosse dalla mente di coloro che dovrebbero organizzare dei servizi per loro. Il presupposto di base non c’è. I servizi sono al servizio di se stessi.
E questa è una storia che si può raccontare, perché più pubblica di così non si può. Ma è pressochè unica, perché, tendenzialmente, le famiglie è meglio che tacciano. Perché perdono sempre.
Buona giornata.
Angela

4 commenti:

Luana ha detto...

Mi sembrano storie di ordinaria follia... E chissà quante altre ce ne sono. Che pena e che amarezza. Non basta avere il destino contro, ci vogliono anche le istituzioni a complicare il tutto ed a mettere i bastoni fra le ruote. Voglio sperare che la totale insensibilità sia il frutto di un'unica persona e non di una scuola intera. Purtroppo esistono anche persone così e spesso ricoprono posizioni importanti.
Massima solidarietà alla famiglia in questione e milioni di incroci anche per loro.
Forza ragazzi!! XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX

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FORZA FABIO!!!!
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BOOG ha detto...

FORZA FABULLO!!!
FORZA RAGAZZI!!!
BUON WEEK END A TUTTI
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mammadoni ha detto...

senza parole e ...senza risate!

evviva le raccomandazioni!

e quante scrivanie dovrebbero essere capovolte dai GenitoriIstericiMaiGrati

Forza Fabullo bello sorridente!! Ieri mano nella mano con la Stefy, che teneri :-*

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Forza Aimo

buon week a tutti

Nonna Roby ha detto...

Che storia tristissima, probabilmente solo una delle tante che non avremo mai modo di sapere. Ma qualcosa cambierà in questo paese che si dice civile?
Buon fine settimana a tutti con un abbraccio e incroci XXXXXXXXXXXXXXXXXXX
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Ciao prussot!