martedì 16 gennaio 2018

Roba da Broadway.

Noi ci impegniamo ogni giorno per fare di ogni giornata una buona giornata, giuro, ogni giorno: forse non ogni momento, forse ogni tanto ce ne dimentichiamo, ma non passa giorno senza che ci proviamo.
Per cui facciamo il bagnetto a Fabullo sempre facendo un po’ di cinematografo, canzoni, storie, balletti che nemmeno  a Broadway. Poi gli parliamo sempre, tutte le volte che facciamo qualcosa, chiediamo la sua opinione, lo coinvolgiamo, gli chiediamo di aiutare anche quando poi non riesce.
Del perché, non lo so: pena infinita per questo nostro piccino, tentativi di attaccarsi a qualcosa, desiderio di vederlo un pochino contento, senso del dovere, sopravvivenza, illuminazione divina, chi lo sa.
Sicuramente, o noi mentecatti, non è una condotta, come dire, tanto cosciente: cioè, non è che assumiamo quest’aria tutta gioiosa perché sappiamo di essere chiamati a compiere chissà quale cammino spirituale evolutivo, o per la carità. E anche sull’aria gioiosa, avrei da dire: propenderei per la definizione di mentecatti suddetta.
Va bene, mia cara, dice LA PAOLA, ma tutto questo sproloquio, a che pro?
E mi è venuto in mente perché ieri ho chiacchierato con un’amica che si occupa di tutta una serie di dinamiche sociali: per intenderci, una bella chiacchierata sincera, non un colloquio con Quelli Che Sanno, di quelli a cui, personalmente, se sono obbligata a rispondere, lo faccio solo per iscritto e in presenza di testimoni, mettendo alla cortese attenzione di più persone, perché il mondo va così.
Ieri invece si parlava di parametri di valutazione sul benessere, in senso più che mai ampio, delle Famiglie Handicappate (Ohhhh, che brutta parola, dicono Quelli Che Sanno; pazienza, dico io, confermando che la mia amica ieri non ha obiettato nemmeno un secondo sulla definizione): il tutto rientra nel progetto di coordinamento europeo per cui AperCrescere ha presentato un intervento a Kiev lo scorso autunno.
In tutto questo bel discorso, io ho spiegato che non so se Il caffè della Peppina durante il bagnetto quotidiano possa essere una ricetta; idem per il Katalì Kammello. E, appunto, non lo so quale sia la molla interiore, o per la carità di nuovo.
Certamente mi sento di dire, e di giurare con il sangue, che in una dinamica sociale corretta il sentirsi tutelati, l’avere cioè la sicurezza che tutto viene fatto al meglio, sarebbe, nella sofferenza quotidiana, un punto di riferimento. L’altro appiglio, sarebbe la consapevolezza di non venire sempre giudicati, o peggio, maltrattati: che non vuol dire picchiati, vuol dire sempre essere messi all’angolo.
E qui qualunque Famiglia Handicappata, qualunque sia la situazione e l’età, lo giura più che mai con il sangue: tutte le volte che è necessario avere un rapporto con Quelli Che Sanno (operatori del sociale, della sanità a tutti i livelli, della scuola, del lavoro) il primo pensiero è: Fà che non mi trattino male, almeno questo.
Perché, e qui le madri chinano la testa, la prima fase in un colloquio, solitamente è: Signora, ma lei non ha fatto…..?
Ecco: c’è sempre qualcosa che non si è fatto. Che sia una scartoffia che nessuno aveva mai sentito, la preparazione di un cerotto tra mille per l’infermiera che viene a fare le medicazioni, il cucire una canottiera con un buchino per l’operatrice sociale, l’aver cercato un’immagine per la comunicazione aumentativa a scuola, venti mobilizzazioni della tibio tarsica per il terapista.
Poco importa che di quella scartoffia nessuno avesse mai parlato; che l’infermiera arrivi sempre ad un’ora diversa, arrabbiata come una biscia perché non la pagano, e sarebbe meglio non venisse perché tanto poi bisogna rifare tutto, ma non diciamolo perché poi quella attiva tutta una procedura di controllo sulle competenze assistenziali della famiglia per pararsi immediatamente le spalle; che la maestra che aspetta un’immagine non abbia prodotto uno straccio di materiale didattico in un quadrimestre; che l’operatrice sociale, anche lei sotto pagata, passi il tempo a dire che ha mal di schiena e io non posso lavorare così; che il terapista passi il tempo al cellulare e, in 45 minuti concessi, ne passi 20 avanti e indietro a cercare il sollevatore.
Ecco, la Famiglia Handicappata è sempre mancante, sempre, sempre, sempre.
Di default.
Poi è ovvio, come diceva ieri la mia amica, che l’attacco è tipico di un sistema che non funziona, a vari livelli e per vari motivi: e l’attacco serve a dimostrare sempre che Quelli Che Sanno non ne hanno colpa.
È ovvissimo, dico io. Ma questo è quanto: e prima di parlare di parametri di valutazione del benessere, è fondamentale, sempre, dare il nome alle cose, ammettere l’atteggiamento delle alte sfere, qualunque ne sia il motivo: e poi quel motivo lo cerco, ma prima devo ammettere il problema.
Altrimenti siamo sempre lì: che i rapporti sono conflittuali e inutili, che è fondamentale difendersi sempre e essere lucidi per farlo (ad ogni incontro non andare soli ma portare un testimone, preparare sempre un verbale, in presenza di qualunque operatore stilare una lista di tutto ciò che si è fatto è detto, in modo che, alla fine, emerga chiaramente che magari si dice tanto ma non si fa niente: il tutto nel contesto quotidiano della fatica che sappiamo, avete presente che delirio?), e bisogna avere i mezzi, anche culturali, per difendersi; e quindi si passa il tempo a marcarsi a vicenda, e non a essere tutelati.
Risultato: il sistema supporta esclusivamente se stesso e non l’utente finale.
Se questo non si ammette, per forza bisogna affidarsi al Caffè della Peppina.
Buona giornata.
Angela

3 commenti:

Luana ha detto...

Mammamia.....
Forza Fabio!!
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Anonimo ha detto...

Sottoscrivo col sangue (ormai marcio dopo 14 anni di esperienze similari)
Barbara

BOOG ha detto...

FORZA FORZA FORZA!!!
FORZA FABULLO!!!
FORZA RAGAZZI!!!
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