venerdì 16 novembre 2018

Sempre quelle sono.

Sì, la burocrazia legata al mitico terzo settore sta diventando sempre più significativa:  nel senso che ha un impatto quotidiano sulle realtà associative che è determinante proprio ai fini della sopravvivenza.
Il succo è lo stesso che raccontiamo sempre: la complessità fa sì che sia necessaria una tale specializzazione che è a sua volta necessario rivolgersi a personale altamente specializzato in politiche del terzo settore. Personale che, però, va giustamente pagato: per cui una parte sempre più importante dei fondi da progetto deve essere stanziato per l’elaborazione del progetto stesso. Il terzo settore che mantiene il terzo settore.
Indubbiamente ci sono delle ragioni specifiche che hanno una loro giustificazione ragionevole entro un certo ambito, ma che la ragione la perdono completamente quando le motivazioni superano l’essenza stessa dell’esistere del terzo settore e diventano delle toppe a qualcosa che non funziona a monte.
Concetto farraginoso ma che si chiarisce subito.
Sostanzialmente: le specifiche e i paletti stanno aumentando per evitare che chiunque possa accedere a fondi vari utilizzandoli poi in maniera impropria, creando una realtà associativa che magari è la copertura di qualcos'altro.
E dicendo questo viene fuori tutto quanto: le istituzioni pubbliche o, comunque, “ufficiali” già esistenti non riescono a colmare da tempo certi bisogni sociali essenziali; stiamo parlando, appunto di servizi essenziali, come l’assistenza o le prestazioni sanitarie e non solo le festicciole di Santaclàus e di Allouìììn. E già lì è possibile individuare un problema.
Passo successivo: il terzo settore  può accedere a fondi pubblici e privati, nazionali ed europei, dietro ovviamente stesura di progetto e giustificazione di come vengono spesi tali fondi.
Passo oltre: il terzo settore diventa un business per la criminalità e la parola progetto diventa un codice per avere soldi, e non qualcosa che ha un obiettivo specifico. L’esempio più eclatante è stato il caso di Mafia Capitale, con i fondi europei per le cooperative di accoglienza che sono finiti altrove.
Potremmo chiederci perché questo sia un problema squisitamente insito nella realtà italiana, ma direi di procedere oltre.
Passo ancora successivo: per evitare queste situazioni si rende sempre più difficile l’accesso ai progetti, in modo da scoraggiare l’emergere di associazioni ad ogni piè sospinto, formate anche solo da poche persone. Tali piccole associazioni non diventano vietate, ma possono al massimo organizzare la grigliatina di beneficenza o la vendita delle caramelle ad offerta libera: nobili azioni, che richiedono tanta energia, ma che portano a pochissimo. Non è formalmente impedito l’accesso ai progetti, ma la loro stesura e applicazione diventa così complessa che serve personale specifico e retribuito, perché si tratta di un lavoro che richiede molto tempo, e per vivere è necessario lavorare, e ben lo sanno quelli che lavorare non possono; la retribuzione di questo personale fa sì che non basti la grigliatina per provvedere, anche perché va, giustamente, pagato per la stesura di un progetto, e non per la sua assegnazione, che è poi eventuale.
Per cui sopravvivono solo le organizzazioni che hanno un apparato importante, che però non possono raggiungere e coprire tutte le realtà in maniera specifica e puntuale.
Tutto comprensibile, ma mi sembra che, analizzando così la situazione, possa anche emergere che le soluzioni non dovrebbero colpire gli ultimi.
Per cui: nascono associazioni tutti i minuti perché i bisogni primari non sono garantiti? Forse dovremmo pensare a garantirli, e il problema delle troppe associazioni nemmeno esisterebbe, e potrebbero rivolgersi solo a iniziative collaterali, festicciole varie, per esempio.
Il terzo settore diventa così appetibile alla criminalità? Forse bisognerebbe reperire le risorse perché la criminalità venga analizzata e colpita, invece che rendere sempre più farraginosa e complessa l’attività del volontariato. Anche perché si sta dimostrando che il rendere tutto più filtrato non sta in realtà servendo a nulla: ciò che è illegale continua ad esistere, proprio perché l’illegalità ha comunque i mezzi per procedere in ciò che per gli altri è difficile.
Insomma, la mitica toppa non serve a niente.
Ma è un discorso che, in realtà, è sovrapponibile a tutti gli aspetti di un sistema che non funziona: basti pensare all’immensa mole di burocrazia fiscale, ogni giorno più complessa, suscettibile di errori che implicano multe, che necessita di professionisti che vanno giustamente retribuiti e che sta stritolando le piccole imprese oneste: senza, per altro, colpire minimamente la grande evasione fiscale. Ecco, la situazione è assolutamente sovrapponibile.
Una palude in cui Kafka era un dilettante.
E lo so che dico sempre quelle: ma,  se sempre quelle sono, non si può mica cambiare argomento.
Buona giornata.
Angela

4 commenti:

Luana alle prese con la fatturazione elettronica ha detto...

Eh si, purtroppo proprio un bel quadro burocratico veritiero.
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FORZA AIMO! FORZA FABIO!!!
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Buon fine settimana a tutti

BOOG ha detto...

FORZA FORZA FORZA FABULLO!!!
FORZA FAMIGLIA AIMO!!!
BUON FINE SETTIMANA A TUTTI GLI AMICI DEL BLOG!!!
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Paola ha detto...

Quanto hai ragione...
io sto nelle sabbie mobili con la burocrazia italiana per i problemi fiscali di Giulia che sta lavorando all'estero ma ha ancora residenza italiana (e le problematiche sono tutte al di qua della Manica, ahime')
e parliamo di cose legate ai soli "soldi"...sempre importantissimi ma non certo quanto la salute, o gli aiuti concreti a chi deve sopravvivere.
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incroci per un fine settimana tranquilla e che un pizzico di noia sia con voi
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FORZAFABIOOOOOO
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Buon weekend a tutto il blog

Nonna Roby ha detto...

Ho sempre detto e ripeto che questa è una Repubblica delle Banane… forse pure delle bucce delle banane. Però qui siamo e dobbiamo viverci: fortunati i giovani che hanno l’opportunità di andare a lavorare all’estero, in qualche paese dove vi sia più organizzazione!
Buon fine settimana, bacetti a Fabullo e un abbraccio ai 4 Aimo